1968: Catena e l’Indiano procedevano con passo futurista sul
marciapiede di corso Palestro direzione via Cernaia lato negozio delle missioni.
Il dialogo tra i due non s’interrompeva neanche quando Catena accelerava o rallentava
il passo a seconda del procedere dello sconosciuto che gli camminava davanti.
Catena era collegato all’ignaro passante da un elastico
invisibile che doveva tenere sempre in tensione e mai lasco. L’Indiano, più
normalmente, non poteva calpestare le righe perpendicolari alla strada che
separavano un lastricato del marciapiede dall’altro. Per questo le nostre
chiacchiere le facevamo sopra e intorno alla panchina dove almeno eravamo tutti
più o meno fermi. La panchina stava nel
centro-viale di corso Palestro davanti al bar Cecchi a pochi metri da via
Garibaldi. Al bar Cecchi non ci si
entrava mai, neanche se pioveva. Chi invece ci viveva, al Cecchi, erano
Salvatore, il venditore di anfetamine in pillole; Metredina prima e Magriz poi e Tarzanetto con la strana faccia
d’albino biondo, finito male presto, lui e la sua pistola che esibiva troppo. A
Catena succedeva di doversi fermare, talvolta anche abbastanza a lungo,
specialmente di notte, quando perdeva lo sconosciuto passante che lo precedeva,
magari perché era scomparso in un portone. A quel punto aspettava di agganciarsi
ad un nuovo ignaro che andasse nella direzione da lui voluta. Perché quello
della direzione era un problema aggiunto mica da poco nella Torino notturna del
1968 assolutamente deserta. Altra storia girare in centro di giorno dove
aggancio e direzione avevano possibilità continue e infinite nel formicolare
umano della città. L’indiano vestiva jeans trucidi bordati al fondo con una
fettuccia a fiori, un gilè marrone di cuoio consumato sulle braccia nude ancora
pulite, dalle vene integre, che avrebbe trasformato nel giro di mille giorni in
tatoo – ematomi, bluastri e duri, con incredibili cavalli di amfetamina e oppio. L’Indiano, cappellone biondo fluente, spalle larghe e passo tra le
righe del lastricato, non si separava quasi mai da Catena, bruno, capelli
mossi, dalla trascuratezza semplice, l’impermeabile grigio e liso, raccontava
visioni e sogni condendoli con la realtà, poeta e filosofo disquisiva
incantandosi, parlava, diceva, si fermava improvvisamente, perso il filo perso
tutto, cervello resettato, nuova storia.
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